PAVANELLO & PARTNERS
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PATTEGGIAMENTO: COME FUNZIONA?

 

Il patteggiamento è un rito "alternativo" al processo vero e proprio in cui le parti (indagato e pubblico ministero) concordano anticipatamente una pena determinata. Il Giudice per le indagini preliminari valuterà in apposita udienza l’intesa raggiunta, che deve essere adeguata al reato commesso. Se la valutazione del Giudice risulterà favorevole sarà emessa una sentenza che riproduce i termini dell’accordo. 

QUALI SONO I VANTAGGI

Innanzitutto la pena stabilita dalle parti è diminuita fino a un terzo in forza della scelta. Inoltre per le pene inferiori ai due anni il patteggiamento comporta i seguenti principali vantaggi: 

La condanna non comparirà sul casellario giudizialea richiesta dei privati e non sarà visibile se non per l’Autorità Giudiziaria.

Per le pene concordate inferiori a due annise nel termine di cinque anni (in caso di delitto) o due anni (per contravvenzioni) il condannato a pena patteggiata non commetterà un altro delitto o una contravvenzione della stessa indole, il reato si estinguerà e cesserà ogni effetto penale. 

E' necessario sapere che dal patteggiamento sono esclusi taluni reati  gravi (criminalità organizzata, terrorismo, delitti di particolare gravità specificati dalla norma stessa) nonché talune categorie di soggetti (fra cui i delinquenti abituali, professionali e per tendenza). 

 

 

TESTIMONIANZA DELLA VITTIMA, QUANDO E' UNICA PROVA A CARICO

 

Le dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza sia ritenuta intrinsecamente attendibile, sono vera e propria fonte di prova e sulla stessa, anche esclusivamente, può fondarsi l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, purché la relativa valutazione sia adeguatamente motivata. 

Ciò vale particolarmente per i reati sessuali, l’accertamento dei quali è spesso caratterizzato dalla necessaria valutazione del contrasto tra le opposte versioni di imputato e parte offesa.

Le dichiarazioni attendibili della vittima, anche in assenza di altri elementi probatori che consentano di attribuire maggiore credibilità a versioni contrapposte, possono condurre alla condanna dell'imputato.

 

 

 

REGISTRARE UNA CONVERSAZIONE TRA PRESENTI

 

È lecito registrare una conversazione, anche telefonica, che intercorre tra due  persone purché la registrazione sia effettuata da uno dei presenti e partecipe alla stessa, anche quando ciò avvenga senza informare l’altra parte.
Qualora invece il soggetto che registra la conversazione non sia parte della stessa, non essendo presente o non essendo autorizzato ad assistere, si tratta di un soggetto terzo alla conversazione e, in questo caso, non é registrazione ma "intercettazione", la quale necessita di autorizzazione; diversamente deve considerarsi attività illecita.

Attenzione: il diritto alla privacy in relazione alla registrazione di conversazioni non si applica al trattamento di dati personali effettuato da una persona fisica nell’ambito di attività a carattere esclusivamente personale o domestico; ciò significa che senza un collegamento con un’attività commerciale o professionale non risulta necessaria alcuna informativa privacy o alcun consenso alla registrazione nel caso di conversazione con il soggetto “captante” presente.

 

Cass. pen., sez. III, 8 marzo 2024, n. 10079

La pronuncia ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia che aveva parzialmente riformato la condanna emessa dal Gip di Brescia ritenendo utilizzabili, ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’imputato, le dichiarazioni telefoniche di ammissione del fatto-reato rese dall’imputato stesso alla madre delle vittime nel corso di una chiamata svoltasi in vivavoce alla presenza degli inquirenti.

Il ricorrente aveva sostenuto inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in terma di intercettazioni illegittime (artt. 266 e ss. c.p.p.).

La Corte di Cassazione ha ritenuto lo specifico motivo manifestamente infondato, precisando come le intercettazioni occulte di cui agli artt. 266 e ss. c.p.p. riguardino comunicazioni tra due o più persone che agiscono con l’intento di escludere altre e siano svolte da un soggetto estraneo alla conversazione, mediante strumenti tecnici idonei a vanificare le cautele ordinarie a presidio della riservatezza.
 

Viceversa, la fonoregistrazione di un colloquio tra presenti operata da uno dei partecipi, o comunque di un soggetto ammesso ad assistervi, registrazione che può avvenire anche clandestinamente, non può ricondursi alla nozione di intercettazione, integrando essa la “memorizzazione fonica di un fatto storico della quale l’autore può disporre legittimamente, anche ai fini della prova nel processo secondo la disposizione dell’art. 234 cod. proc. pen., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa”.

 

In sostanza, la registrazione della conversazione che avviene tra autore e vittima da parte di quest’ultima è utilizzabile in dibattimento come prova documentale.




 

 

 

VORRESTI FARTI RAGIONE DA TE?

L'ARBITRARIO ESERCIZIO DELLE PROPRIE RAGIONI E' UN REATO.

 

L’art. 393 c.p., rubricato “Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone”, dispone che chiunque si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone è punito, a querela dell’offeso, con la reclusione fino a un anno.

Ove il fatto sia commesso anche con violenza sulle cose, alla pena della reclusione si aggiunge la multa fino a 260 euro. La pena è inoltre aumentata se la violenza o la minaccia alle persone è commessa con armi.

 

 

LA PROPRIETA' PRIVATA E' UN DIRITTO INALIENABILE

 

 

 

diritto civile: commerciale, societario, ereditario, immobiliare, bancario e dell'intermediazione finanziaria

 

 

DIFESA DEI DIPENDENTI PUBBLICI E PRIVATI 

IN TUTTI I GRADI DI GIURISDIZIONE

 

diritto del lavoro

 

 

 

 

DIRITTI E INTERESSI LEGITTIMI

DIFESI CONTRO  ATTI AMMINISTRATIVI E TRIBUTARI ILLEGITTIMI

 

 

diritto amministrativo, tributario, gare e appalti, edilizia e urbanistica

 

 

IL DIRITTO DI DIFESA PENALE E' GARANTITO A TUTTI.

 

DIGNITA' E DIFESA.

 

diritto penale, difesa dei diritti fondamentali della persona, difesa della privacy

 

LA CRISI MATRIMONIALE

 

La negoziazione assistita prevista per la soluzione consensuale della crisi matrimoniale è un procedimento in cui ciascun coniuge deve essere assistito da un avvocato. 

L'istituto non è limitato al divorzio. A esso si può ricorrere anche quando è necessario procedere alla modifica di accordi precedenti intercorsi tra i coniugi. Le formalità della procedura di negoziazione assistita in sede di divorzio differiscono in base alla presenza o meno di figli. 

In mancanza di figli, una volta raggiunto l’accordo, esso va trasmesso al Procuratore della Repubblica. Nel caso in cui la Procura non ravvisi irregolarità, comunica agli avvocati l'autorizzazione a procedere alla trasmissione della copia autenticata dell’accordo all’Ufficiale dello Stato civile del Comune in cui è iscritto o è stato trascritto il matrimonio. 

Nel caso in cui vi siano figli e nel momento della negoziazione siano minorenni o affetti da handicap grave, l’accordo che i coniugi raggiungono in sede di negoziazione va tramesso entro dieci giorni al Procuratore per essere autorizzato. L’autorizzazione all’accordo è concessa solo se esso rispetta primariamente l’interesse dei figli. 

Se la Procura emette provvedimento negativo perché non rispondente agli interessi dei figli. In tal caso il Procuratore trasmette l'atto al Presidente del Tribunale, che entro trenta giorni, fissa la comparizione dei coniugi o dei genitori. L’accordo, anche in questo caso, va trasmesso all’Ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio risulta iscritto o trascritto.

L’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita nel procedimento di divorzio per definire le questioni economiche e non derivanti dallo scioglimento del vincolo matrimoniale produce i medesimi effetti di un provvedimento giudizialeSe l’accordo contiene patti che hanno a oggetto il trasferimento di immobili esso produce effetti obbligatori (impegni giuridicamente rilevanti).

Prevista inoltre la possibilità di contemplare nell’accordo il riconoscimento di un assegno divorzile UNA TANTUM. 

 

         LE SERVITU' DI PASSAGGIO

La servitù di passaggio è il diritto del proprietario di un fondo di poter passare, transitare, attracersare il fondo del vicino per accedere al proprio.

Può essere costituita volontariamente tramite un negozio giuridico, a titolo originario, per usucapione, per destinazione del padre di famiglia oppure coattivamente per obbligo di legge o con sentenza del giudice.

La servitù si estingue per confusione, per prescrizione, per impossibilità di uso o mancanza di utilità se sono passati almeno venti anni. 

Per contratto si può costituire anche una servitù coattiva.

In mancanza di contratto la servitù di passaggio coattiva si costituisce con sentenza o con atto dell’autorità amministrativa nei casi individuati dalla legge. Si può costituire inoltre anche come clausola accessoria di un altro contratto o con contratto a favore del terzo. 

La servitù di passaggio può essere costituita per testamento.

In tal caso al momento dell'apertura della succcessione l’erede chiamato o il legatario acquistano il diritto. Il testamento può prevedere anche soltanto l'obbligo per l’erede o il legatario di costituire la servitù. In questa ipotesi é necessario concludere un accordo per l’effettiva costituzione del diritto.

Gli artt. 1061 e 1062 cod.civ. stabiliscono i requisiti di costituzione della servitù di passaggio per usucapione (devono essere servitù non apparenti) e per destinazione del padre di famiglia. In quest'ultima ipotesi la costituzione ha luogo quando “consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù”. 

La costituzione della servitù di passaggio con sentenza è prevista all’articolo 1032 cod.civ.:“Quando, in forza di legge, il proprietario di un fondo ha diritto di ottenere da parte del proprietario di un altro fondo la costituzione di una servitù, questa, in mancanza di contratto, é costituita con sentenza. Può anche essere costituita con atto dell’autorità amministrativa nei casi specialmente determinati dalla legge. La sentenza stabilisce le modalità della servitù e determina l’indennità dovuta. Prima del pagamento dell’indennità il proprietario del fondo servente può opporsi all’esercizio della servitù”.

Il nudo proprietario può costituire servitù a carico del proprio fondo servente solo con il consenso dell’usufruttuario. Se invece si tratta di costituire una servitù sul fondo dominante non è necessario il consenso dell’usufruttuario in quanto la servitù non è lesiva del diritto di usufrutto (art. 1060 c.civ.: “Il proprietario può, senza il consenso dell’usufruttuario, imporre sul fondo le servitù che non pregiudicano il diritto di usufrutto”).

Va ricordato inoltre che: “La servitù concessa da uno dei comproprietari di un fondo indiviso non è costituita se non quando gli altri l’hanno anch’essi concessa unitamente o separatamente”.  Se si tratta di comproprietà di un fondo dominante invece la servitù può essere costituita per volontà di uno solo dei comproprietari ove sia a titolo gratuito, laddove se  é a titolo oneroso necessita la maggioranza qualificata dei comproprietari.

L’art. 1051, I co. cod.civ., dispone: “Il proprietario, il cui fondo è circondato da fondi altrui, e che non ha uscita sulla via pubblica né può procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio, ha diritto di ottenere il passaggio sul fondo vicino per la coltivazione e il conveniente uso del proprio fondo. Il passaggio si deve stabilire in quella parte per cui l’accesso alla via pubblica è più breve e riesce di minore danno al fondo sul quale è consentito. Esso può essere stabilito anche mediante sottopassaggio, qualora ciò sia preferibile, avuto riguardo al vantaggio del fondo dominante e al pregiudizio del fondo servente”.

Il III co. poi prevede l’ipotesi di ampliamento coattivo “nel caso in cui taluno, avendo un passaggio sul fondo altrui, abbia bisogno ai fini suddetti di ampliarlo per il transito dei veicoli anche a trazione meccanica”

Il IV co. esclude dall’applicazione della norma le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti per salvaguardare l’integrità di tali luoghi. 

La costituzione della servitù di passaggio nel caso di fondo intercluso o con accesso alla via pubblica ma inadatto o insufficiente a soddisfare i bisogni del fondo e non ampliabile comporta il pagamento di un’indennità a carico del fondo dominante. 

 

QUALI SONO I LIMITI ALLA VOLONTA' DI TESTARE

La successione testamentaria: quota disponibile e quota legittima

La quota disponibile é la porzione del patrimonio in ordine alla quale il testatore può liberamente disporre.

La quota di legittima o quota di riserva è la parte del patrimonio del defunto sulla quale egli non può disporre perché riservata per legge, senza eccezioni, a favore del coniuge, dei figli e degli ascendenti (ove manchino i figli).

Gli eredi legittimari sono coloro a cui è riservata dall'ordinamento una porzione ben precisa dell'eredità del de cuius e che quest'ultimo non può ledere attraverso le disposizioni testamentarie.

Gli eredi legittimi succedono nel patrimonio del defunto sulla base di quanto stabilito dalla legge quando il defunto non ha provveduto a disporre per testamento.

Il calcolo della quota disponibile

Per individuare la cosiddetta quota disponibile va fatto riferimento all'art. 556 c.civ., il quale disciplina la riunione fittizia.

La riunione fittizia é l'operazione di riunione nella massa ereditaria di tutti i beni facenti capo al defunto e nella determinazione del loro valore al momento dell'apertura della successione (cd. relictum), massa dalla quale vanno sottratti i debiti contratti in vita dal de cuius e quelli sorti in occasione della sua morte (es. le spese funerarie).

E’ necessario inoltre aggiungere alla massa così formata il valore delle eventuali donazioni compiute dal de cuius prima della sua morte per ottenere la complessiva misura dell'asse ereditario e la quota disponibile sulla quale il testatore ha la piena libertà di disporre, nonché la quota indisponibile, ossia la quota legittima riservata dall'ordinamento ai soggetti indicati dall'art. 536 c.civ.

L’art. 536 c.civ. riconosce diritti successori anche ai discendenti dei figli, ossia ai nipoti, qualora il soggetto da cui discendono (figlio del de cuius) sia escluso dalla distribuzione dell'eredità perché non poteva accettare (a es. premorienza o indegnità a succedere). In tali ipotesi i nipoti acquistano i medesimi diritti che spetterebbero ai figli nel succedere al de cuius.

Solo il coniuge, i figli, gli ascendenti e nell'eventualità i nipoti, beneficiano di una quota di riserva che non può essere intaccata dal testatore con la redazione del testamento.

Al fine di determinare la quota di riserva spettante ai singoli legittimari va applicato il principio secondo il quale è necessario riferirsi alla situazione esistente al momento dell'apertura della successione, senza che assumano rilievo eventuali circostanze quali la rinuncia ovvero la prescrizione dell'azione di riduzione da parte di uno dei legittimari medesimi (Cass., Civ. SS.UU., 9 Giugno 2006, n. 13429).

L'art. 537 c.civ. prevede che, quando il defunto abbia un solo figlio, questi abbia diritto alla metà del patrimonio del de cuius. Se i figli sono più di uno, a ognuno va riconosciuta la quota di due terzi del patrimonio ereditario, in egual misura, fatta salva l'ipotesi del concorso con il coniuge del defunto.

Ai sensi dell'art. 540 c.civ., al coniuge spetta la metà patrimonio del defunto, salvo che ricorra l'ipotesi del concorso con i figli, oltre al diritto di abitazione sulla casa di residenza della famiglia e il diritto d'uso dei mobili ivi esistenti.

Anche il coniuge separato dal defunto mantiene i diritti successori sul suo patrimonio, a condizione che non sia stata pronunciata a suo carico sentenza di separazione con addebito passata in giudicato (art. 548 c.civ.). In tal caso potrà ottenere un assegno vitalizio se al momento della morte del coniuge godeva di un assegno alimentare a carico di quest'ultimo. L'assegno sarà proporzionato alla massa ereditaria e al numero degli eredi, non superiore a quanto ricevuto in vita dal de cuius a titolo di alimenti.

Se il de cuius non aveva figli al momento della morte è riconosciuto agli ascendenti ai sensi dell’art. 538 c.civ. il diritto di ricevere un terzo del patrimonio in mancanza di un coniuge; ove il coniuge esistesse, si applicherebbe l'art. 544 c.civ. sul concorso tra coniuge e ascendenti.

Nell'ipotesi in cui, al momento della morte del testatore, vi siano oltre al coniuge anche i figli del defunto, l'art. 542 c.civ. dispone le quote riservate in relazione al numero dei figli.

Quando infine all'apertura della successione concorrano con il coniuge del defunto anche gli ascendenti e non vi siano figli del de cuius, si applicherà l'art. 544 c.civ., che riconosce al consorte la metà del patrimonio del defunto laddove agli ascendenti spetta un quarto del patrimonio.

 

 

INDAGINI TRIBUTARIE NEI PROCEDIMENTI DI SEPARAZIONE CONIUGI

 

Le indagini di polizia tributaria (in questo organo ausiliario del giudice con ampi poteri di indagine Trib. Salerno, 15 febbraio 2011; Trib. Reggio Emilia, 27 marzo 2006) non sono l’unico mezzo di prova e il giudice potrà sempre ordinare l’esibizione di documenti, delle buste paga, delle dichiarazioni dei redditi delle parti, degli estratti conto e potrà anche affidare ad un commercialista una consulenza contabile.

In ordine al mantenimento dei figli, una disposizione generale è contenuta nel primo comma dell’articolo 337 octies del codice civile – nel testo modificato dalla riforma sulla filiazione del 2012 - (intitolato “poteri del giudice e ascolto del minore”) che chiude il capo II (“esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio, ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio”) del titolo IX (“della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio”) del primo libro del codice civile. La norma (che riproduce, per quanto attiene ai poteri del giudice in questi procedimenti, il previgente articolo 155-sexies del codice civile) prevede che “prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova.

Il potere in questione è richiamato espressamente nell’ultimo comma dell’art. 337-ter del codice civile (già articolo 155 codice civile) in cui si prevede che “ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”.

Il potere di indagine è previsto dalla normativa sul divorzio e la giurisprudenza ha esteso la disciplina al processo di separazione (Cass. civ. Sez. I, 17 giugno 2009, n. 14081 e Cass. civ. sez. I , 17 maggio 2005, n. 10344Trib. Catania, 19 luglio 1988Trib. Bari, 3 maggio 1988), dove si è statuito che “anche in materia di separazione dei coniugi deve ritenersi applicabile in via analogica la norma dell’articolo 5, comma 9, della legge n. 898/70, come modificato dall’articolo 10 della legge n. 74/87”. L’articolo 5 comma 9 della legge sul prevede, appunto, che “I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni altra documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenere di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”. Il potere di disporre indagini di polizia tributaria è esercitabile anche in presenza della documentazione fiscale prevista dalla legge dal momento che “le dichiarazioni dei redditi svolgono una funzione tipicamente fiscale e, in una controversia concernente l'attribuzione o la quantificazione dell'assegno di mantenimento, non rivestono valore vincolante per il giudice, il quale, nel suo apprezzamento discrezionale, ben può disattenderle, fondando il suo convincimento su altre risultanze probatorie” (Cass. civ. Sez. I, 31 maggio 2007, n. 12763).

Il potere di disporre indagini tributarie può essere esercitato dal giudice, anche d'ufficioa, in vista dell’adozione di provvedimenti economici concernenti sia i figli che i coniugi (Cass. civ. Sez. I, 24 aprile 2007, n. 9915) con l’avvertenza, tuttavia, che ai fini dell’adozione di provvedimenti economici riguardanti i coniugi, questo potere può essere esercitato – su istanza di parte o in via ufficiosa – solo “in caso di contestazioni” da parte di un coniuge della documentazione sui redditi e sul patrimonio prodotta dall’altro coniuge.

 

 

        Capire meglio le distanze legali

La Corte di Cassazione, Sez. II Civile, con l'Ordinanza n. 12203 del 14 aprile 2022 ha chiarito che, ai fini dell'osservanza delle distanze legali, mentre non può essere considerato come costruzione il muro che, nel caso di dislivello naturale, oltre a delimitare il fondo assolve anche alla funzione di sostegno e contenimento del declivio naturale per evitare smottamenti o frane, nel caso di dislivello di origine artificiale, deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico, ai fini della normativa sulle distanze legali, il muro di fabbrica che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento del terrapieno creato dall'opera dell'uomo, o che questa abbia pure soltanto accentuato rispetto a quello già esistente per la natura dei luoghi.
E' sufficiente che l'andamento altimetrico del piano di campagna, originariamente livellato sul confine tra due fondi, sia stato artificialmente modificato per opera dell'uomo per far ritenere che il muro di cinta abbia la funzione di contenere il terrapieno creato "ex novo" con l'apporto di terra e pietrame e vada, per l'effetto, equiparato a un muro di fabbrica, come tale assoggettato al rispetto delle distanze legali tra costruzioni.

In tema di distanze legali esiste, ai sensi dell'art. 873 c.c., una nozione unica di costruzione, consistente in qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata, anche se realizzata mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa. I regolamenti comunali, pertanto, essendo norme secondarie, non possono modificare tale nozione codicistica, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, poiché il rinvio contenuto nella seconda parte dell'art. 873 c.c. ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore.
Né, dunque, ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 e seguenti c.c., la nozione di costruzione può identificarsi con quella di edificio.

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